CONVIVENZA DI FATTO e UNIONE CIVILE:

vediamoci chiaro!

Sebbene l'iter della legge sulle unioni omosessuali non sia ancora terminato, il maxiemendamento passato al Senato, riscrivendo completamente il DdL Cirinnà mira a portare netti cambiamenti nel nostro ordinamento.
Innanzitutto occorre preliminarmente esaminare brevemente quelle che sono le sostanziali differenze sul piano del riconoscimento di diritti e doveri, tra le coppie sposate e quelle che non lo sono.
Gli ambiti nei quali tale discrasia risulta più evidente sono certamente quello della salute e  quello della materia successoria.
I coniugi infatti hanno diritto di assistere l'altro coniuge in ospedale e di essere informati circa il suo stato di salute. Al coniuge poi spetta di diritto una quota del patrimonio del consorte defunto, cosi come avviene anche per la pensione di reversibilità e per il TFR.
Diversamente il convivente non può avere informazioni sullo stato di salute del compagno, non può prestare il consenso a eventuali interventi medici urgenti e non può richiedere permessi lavorativi per assisterlo in caso di malattia. Il convivente poi non rientra tra gli eredi legittimi e, pertanto, in caso di decesso del compagno questo potrà risultare erede solo in caso di disposizioni testamentarie e limitatamente alla quota disponibile. Non potrà comunque in ogni caso percepire TFR e pensione di reversibilità.
Fino al 2013 vi erano poi differenze tra i figli nati nel matrimonio (figli naturali) e quelli nati fuori dal matrimonio (figli legittimi). Adesso tale distinzione è cessata e in entrambi i casi l'affidamento è disposto nell'esclusivo interesse del minore, con obbligo a carico del genitore non affidatario di contribuire al mantenimento del figlio.
***
Nell'ambito poi delle formazioni sociali non fondate sul matrimonio, occorre distinguere:

  • convivenza di fatto: trattasi di una coppia tra persone maggiorenni, etero o omosessuali, non legate da vincoli giuridici ma solo da un legame affettivo.
  • unione civile: formazione sociale costituita da persone maggiorenni del medesimo sesso

 
La convivenza di fatto.
I conviventi assumono solo alcuni dei diritti e dei doveri propri delle coppie sposate come ad esempio:

  • l'assistenza ospedaliera
  • il diritto agli alimenti
  • il diritto di abitazione nella casa di comune residenza, in caso di decesso del convivente proprietario, per due anni o per un periodo pari alla convivenza (comunque non oltre i cinque anni)
  • il diritto di subentrare nel contratto di locazione della casa di comune residenza qualora il convivente intestatario dovesse morire o dovesse recedere da questo

Per quanto riguarda la regolamentazione degli aspetti patrimoniali poi, i conviventi possono ricorrere all'istituto del “contratto di convivenza”.
La convivenza, può risolversi per matrimonio, decesso di uno dei due conviventi, accordo delle parti o volontà unilaterale.

L'unione civile
Trattasi di quell'unione, tra persone dello stesso sesso, che si costituisce attraverso una dichiarazione resa dinanzi all'ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni (di regola è prevista la comunione dei beni, salvo diversa espressa indicazione). Analogamente, la separazione avviene dinanzi all'Ufficiale di stato civile qualora le parti ne manifestino la volontà.

 

LA STEPCHILD ADOPTION

L'istituto che ha fortemente diviso la scena politica degli ultimi tempi non rappresenta in alcun modo una novità per l'ordinamento italiano. La legge 184/1983, infatti, ha previsto l'adozione da parte del coniuge del figlio dell'altro, con il consenso di questo ultimo. L'adozione non avviene in via automatica ma è disposta dal Tribunale dei minorenni al quale spetta il compito di rilevare la corrispondenza tra questa e il reale interesse del minore.
Inizialmente prevista solo per le coppie sposate, la stepchild adoption è stata poi estesa in sede giurisprudenziale alle coppie conviventi eterosessuali.
E sempre in sede giurisprudenziale si è avuta la prima apertura alle coppie omosessuali. Negli ultimi anni infatti il Tribunale per i minorenni di Roma, in linea con la giurisprudenza europea, ha affermato che l'orientamento sessuale dell'adottante non può in alcun modo costituire un elemento ostativo alla stepchild, al riconoscimento sul piano giuridico di un “rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo”.
In tal modo non è stato creato un nuovo diritto ma è stata offerta copertura giuridica a una situazione già esistente, nel preminente e superiore interesse del minore.

 

I CONTRATTI DI CONVIVENZA

Una delle novità previste dal DdL Cirinnà è l'attribuzione agli avvocati del potere di stipula e autenticazione dei cd. Contratti di convivenza, prima attribuita in via esclusiva ai notai.
Pertanto, ad oggi i conviventi di fatto potranno rivolgersi al proprio legale di fiducia al fine di regolare i propri rapporti patrimoniali.
Il contratto di convivenza è un negozio già presente nel nostro ordinamento a partire dal 2013. Con il DdL Cirinnà questo ha però acquistato nuovo vigore.
Il comma 50 del DdL prevede infatti che "i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune, con la sottoscrizione di un contratto di convivenza".
Secondo quanto disposto dal successivo comma 51 poi, il contratto di convivenza, le sue modifiche e la sua risoluzione, devono essere “redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato, che ne attestano la conformità alle norme imperative ed all'ordine pubblico".

Cos'è il contratto di convivenza e cosa può regolare.
Trattasi di accordi scritti con i quali i conviventi potranno definire gli aspetti patrimoniali. Attraverso questi contratti la coppia potrà regolare vari aspetti patrimoniali comuni, potendo prevedere anche specifiche clausole relative ad eventuali figli, il loro mantenimento e le spese per la loro istruzione.
Si noti poi che attraverso i contratti di convivenza possono essere definite anche le regole attinenti al testamento biologico.
Resta però fuori dal sistema del contratto di convivenza la materia successoria. Il convivente superstite, che non rientra ex lege tra gli eredi legittimi, pertanto potrà essere nominato erede solo in presenza di un testamento in suo favore e limitatamente alla quota disponibile.

 

MANCATO VERSAMENTO DELL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO

E' ampiamente risaputo che, il mancato versamento dell'assegno di mantenimento alla moglie o ai figli minorenni costituisce un reato, come sancito dall'art. 570 del codice penale:

Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore  o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore , ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti  o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un'altra disposizione di legge.

Il diritto ad ottenere il mantenimento può essere stabilito sia a favore dell'ex coniuge sia dei figli. Tale obbligo trova la sua fonte nell'art. 337-ter c.c. il quale sancisce il dovere dei genitori al mantenimento, educazione, istruzione e assistenza morale della prole. Spetterà poi al giudice adottare i provvedimenti necessari e nell'esclusivo interesse della prole.
L'art. 156 c.c. pone a carico del coniuge economicamente più forte l'obbligo al mantenimento dell'altro coniuge, determinando l'entità della somma da somministrare sulla base delle fonti di reddito del coniuge obbligato. Tutto questo sembrebbe facile, ma la realtà quotidiana è ben diversa: infatti, è sempre più frequente che il coniuge tenuto a versare il contributo di mantenimento stabilito con la sentenza di separazione o divorzio si sotragga a tale obbligo. In tal caso non è non è sufficente la semplice dichiarazione di essere in stato di disoccupazione per evitare il reato di violazione degli obblighi si assistenza familiare. Per sottrarsi ad una eventuale responsabilità penale occorre, infatti, almeno dimostrare di essere alla ricerca di una lavoro che sia in grado di garantire il proprio sostentamento e quella della famiglia, come affermato da una recente sentenza della Corte di Appello di Napoli (n. 337/2015).
Infatti, il solo stato di disoccupazione non è elemento sufficiente per escludere il dovere di assitenza alla famiglia. Per evitare le conseguenze del mancato adempimento e quindi la condanna penale è necessario fornire dimostrazione della concreta impossibilità di versare l'assegno. In sostanza, spetta all'interessato dare prova dell'oggettiva impossibilità di versare il mantenimento in quanto la responsabilità non potrà essere esclusa solo sulla base di una generica dichiarazione dello stato di disoccupazione, occorre perciò allegare documentazione che attesti le “difficoltà economiche tali da tradursi in un vero e prorpio stato di indigenza economica”(Cass. Sent. n. 5757/2010).
La Suprema Corte con la sentenza n. 10147/2013 ha applicato in modo rigido ed intrasigente l'art. 570 del codice penale anche nel caso in cui il padre, al contrario della ex moglie benestante e dotata di mezzi sufficienti per provvedere ai bisogni della figlia, risultava essere disoccupato. La Corte, considerando irrilevante la benestante situazione economica della madre idonea a garantire il sostentamento della figlia, ha ritenuto che lo stato di bisogno dei figli permanga anche qualora sia la madre a provvedere al mantenimento e sostentamento.
La Cassazione, ha aggiunto che la dichiarata insufficienza economica non può essere considerata rilevante qualora “non venga dimostrata, su impulso del soggetto interessato, l'oggettiva impossibilità di adempiere” e, che la mera condizione di disoccupazione del padre non necessariamente coincide con l'incapacità economica in quanto lo stesso potrebbe essere in presenza di altre possibili fonti di reddito, perciò non esime il padre dalla responsabilità penale ex art. 570 c.p. per il mancato versamento del mantenimento.

 

COME FARE PER AGGIUNGERE IL COGNOME DELLA MADRE A QUELLO DEL PADRE

Un nuovo tabù è stato infranto!!
Da oggi si avrà la libertà di scelta del cognome: mi spiego meglio, i genitori di un figlio minore oppure il figlio divenuto maggiorenne possono rivolgersi al Prefetto per chiedere che al cognome del padre sia aggiunto anche quello della madre.

Fino ad oggi il figlio di una coppia sposata poteva avere solo il cognome del padre, infatti al bambino, al momento della nascita viene assegnato il cognome del padre.

Oggi è però possibile chiedere anche in un momento successivo che venga aggiunto al cognome del padre anche quello della madre o addirittura che il cognome del padre venga sostituito con quello della madre.

Per ottenere tutto ciò occorre fare una richiesta al Prefetto della provincia del luogo di residenza del figlio.

Importante: detta richiesta deve essere presentata da entrambi i genitori e non da uno solo !

La richiesta deve essere specificatamente motivata anche se fra le varie giustificazioni vengono accettate quelle che tengono conto di un legame profondo e affettivo fra madre e figlio come anche l' appartenenza della madre ad una famiglia famosa e il suo cognome potrebbe avvantaggiare anche il figlio.

Il Prefetto una volta ricevuta la richiesta presentata dalla parte la valuta e se le ragioni giustificano la domanda con decreto del Ministro dell' Interno viene autorizzato un avviso contenente un riassunto della domanda in questione e detta affissione dura 30 giorni.

Se entro 30 giorni nessuno si oppone, i genitori dovranno presentare in Prefettura una copia dell' avviso di affissione e una relazione del funzionario comunale che attesta detta affissione per la durata di 30 giorni.

Alla fine il Prefetto emana un decreto con cui concede il cambiamento del cognome oppure l' aggiunta del cognome materno accanto a quello paterno.

Se il Prefetto ritiene invece di non raccogliere detta istanza dei genitori o del figlio maggiorenne, le parti istanti possono proporre ricorso al Tar entro 60 giorni oppure il ricorso straordinario al Capo dello Stato entro 120 giorni dalla notifica.

Comunque un consiglio mi sento di darlo, fatevi seguire da un legale....

LA CORTE DI STRASBURGO CONDANNA L'ITALIA:
I NONNI HANNO DIRITTO DI VEDERE I NIPOTI

Due nonni torinesi, dopo anni di sofferenze, si sono rivolti alla Cedu (Corte Europea dei Diritti dell'Uomo) per denunciare la violazione del proprio diritto di poter frequentare la nipote. E finalmente giustizia è stata fatta...
Ma ripercorriamo le tappe di questa travagliata vicenda giuridica.
La NON giustizia dei Tribunali Italiani
I rapporti tra i nonni paterni e la nipote si erano bruscamente interrotti allorquando la loro nuora aveva chiesto la separazione dal marito, accusandolo di aver abusato sessualmente della bambina (circostanza poi dimostratasi totalmente infondata).
Da quel momento in avanti la madre ha sempre impedito ogni tipo di contatto tra la figlia, che all'epoca aveva soltanto 5 anni, e i nonni paterni.
Questi ultimi, per far valere il proprio diritto di vedere la nipote, si rivolsero al Tribunale dei minori di Torino che, tuttavia, si espresse in maniera negativa, ritenendo le visite dei nonni paterni pregiudizievoli per il benessere psicofisico della minore (dal momento che il padre era stato accusato di averne abusato sessualmente).
La Corte di Cassazione confermava in seguito la decisione presa dal Tribunale dei minori di Torino.
Il ricorso alla Corte Europea
I nonni però non si sono arresi e si sono rivolti alla Corte di Strasburgo denunciando apertamente la violazione dell'articolo 8 della CEDU.
Le loro istanze sono state accolte dai Giudici di Strasburgo i quali, con sentenza del 20 gennaio 2015, hanno condannato lo Stato italiano a pagare ai nonni un risarcimento di € 16.000,00 sia per l'eccessiva durata del processo davanti al tribunale di primo grado (oltre tre anni), sia perchè i servizi sociali, cui era stato affidato il compito di monitorare il rapporto nonni-nipote non avevano svolto correttamente i controlli del caso e non avevano fatto incontrare i nonni con la bambina.
La Cedu ha osservato che le Autorità italiane avevano il dovere di compiere ogni sforzo e di adottare le opportune cautele al fine di salvaguardare il legame familiare, evitandone il totale disfacimento come invece accaduto nel caso in esame.
Finalmente i due nonni torinesi potranno riabbracciare al più presto la nipote, ormai quasi maggiorenne, nella speranza che queste vicende non si ripetano più e che, in futuro, le autorità giudiziarie italiane facciano il possibile per garantire la tranquillità dei minori che si trovino al centro di queste complicate vicende familiari.



SEPARAZIONE E DIVORZIO:
QUALI SONO LE DIFFERENZE?

Quando l'unione coniugale entra in crisi e la convivenza diventa intollerabile è inevitabile giungere allo scioglimento del vincolo matrimoniale.
Con la sola separazione non cessano gli effetti civili del matrimonio. Infatti, dopo la sentenza di separazione si continua a parlare di coniugi, di marito e moglie, in quanto gli effetti del matrimonio sono soltanto sospesi fino all’eventuale riconciliazione o divorzio.
Solo in seguito alla sentenza di divorzio pertanto si potrà correttamente parlare di “ex” poiché viene meno lo status di coniuge.

La separazione

La separazione legale può essere consensuale o giudiziale.
Si parla di separazione consensuale nei casi in cui sia presente il consenso espresso di entrambi i coniugi che si accordano su tutte le possibili questioni connesse ad una separazione, sia per quanto riguarda gli aspetti economici che per quelli legati all'affidamento dei figli. 
L'accordo tra i due coniugi deve, tuttavia, essere sottoposto all'analisi del tribunale che ne valuta la corrispondenza alla legge e la presenza di disposizioni volte al totale rispetto dei diritti della prole.
Qualora il tribunale valuti favorevolmente l’accordo, emanerà decreto di omologazione della separazione; se invece la valutazione risulta sfavorevole, gli atti saranno trasmessi al giudice istruttore e la causa seguirà il corso ordinario della separazione giudiziale.
La separazione giudiziale sorge su istanza di parte, in seguito a violazione degli obblighi matrimoniali oppure a circostanze oggettive che rendono insostenibile la convivenza e la prosecuzione del rapporto.
In seguito alla separazione giudiziale vengono meno alcuni obblighi tipici del matrimonio in quanto i coniugi non avranno più l’obbligo di convivenza, di fedeltà nè di assistenza morale; tuttavia resistono gli obblighi legati al mantenimento e alla cura della prole.

Il divorzio

Con la sentenza di divorzio, invece, cessano definitivamente gli effetti del matrimonio, non sussistendo più in tal modo né l’obbligo di assistenza morale né quello di assistenza materiale, fatti salvi alcuni casi particolari in cui il giudice riconosce un assegno divorzile nei confronti di uno dei due coniugi.
Il ricorso per il divorzio può essere presentato soltanto dopo 3 anni dalla data in cui i coniugi si sono presentati, in sede di separazione, di fronte al Presidente del Tribunale per il tentativo di riconciliazione in udienza presidenziale.
Solo in seguito a divorzio, i coniugi saranno liberi di contrarre nuovamente matrimonio civile.

Principali differenze

Adesso vediamo schematicamente le differenze principali fra la disciplina del divorzio e quella della separazione.

SEPARAZIONE
DIVORZIO
MANTENIMENTO MANTENIMENTO
Resta il dovere di assistenza materiale. Il coniuge che non ha adeguati redditi pertanto godrà di un assegno di mantenimento in quanto la legge mira a consentire alla parte economicamente più debole di conservare il tenore di vita di cui godeva prima della separazione.

Anche in caso di addebito della separazione, resterà comunque l’obbligo per il coniuge “più facoltoso” di versare, al coniuge che si trovi in stato di bisogno gli alimenti.

N.B. i coniugi nei loro accordi possono liberamente rinunciare all’assegno di mantenimento!
Il giudice può prevedere il versamento di un assegno periodico, assegno divorzile, in favore del coniuge che non ha i mezzi e le possibilità per assicurarsi il proprio sostentamento.

Tale assegno non deve necessariamente essere mensile, può essere infatti anche liquidato in un’unica soluzione.

Tale assegno non dovrà più essere versato in caso di nuove nozze del divorziato; ciò avverrà automaticamente, senza alcuna autorizzazione del Tribunale.
EREDITA' EREDITA'
Resta il dovere di assistenza materiale. Il coniuge che non ha adeguati redditi pertanto godrà di un assegno di mantenimento in quanto la legge mira a consentire alla parte economicamente più debole di conservare il tenore di vita di cui godeva prima della separazione.

Anche in caso di addebito della separazione, resterà comunque l’obbligo per il coniuge “più facoltoso” di versare, al coniuge che si trovi in stato di bisogno gli alimenti.

N.B. i coniugi nei loro accordi possono liberamente rinunciare all’assegno di mantenimento!
Con il divorzio si perde lo status di “coniuge” e con esso ogni diritto di partecipare all'eredità. L'ex-coniuge superstite potrà avere diritto a un assegno periodico solo se versa in uno stato di bisogno e se la sentenza di divorzio gli aveva riconosciuto il diritto a un assegno divorzile, a titolo di alimenti.

Spetterà all'autorità giudiziaria determinare l'esatto importo del suddetto assegno. Il diritto a percepire tale somma verrà in ogni caso meno nel caso in cui l'ex-coniuge decida di contrarre nuovo matrimonio.
TFR: TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO TFR: TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO
Il coniuge separato non ha alcun diritto sulla liquidazione dell’altro coniuge. Il coniuge divorziato potrà riceverne una percentuale al momento della cessazione del rapporto di lavoro dell’altro coniuge solo nel caso in cui non si sia risposato e sia titolare di assegno divorzile. La somma sarà equivalente al 40% dell’indennità totale rapportata agli anni in cui coincidevano il rapporto di lavoro e il matrimonio.
PENSIONE DI REVERSIBILIA' PENSIONE DI REVERSIBILIA'
Pensione percepita da un familiare alla morte del lavoratore assicurato o del pensionato.

Tale pensione spetterà sempre al coniuge separato, anche in caso di addebito qualora godesse degli alimenti.
Pensione percepita da un familiare alla morte del lavoratore assicurato o del pensionato.

Il coniuge divorziato avrà diritto a percepirla qualora non si sia risposato e l’altro coniuge fosse lavoratore assicurato prima della pronuncia del divorzio.

Qualora il lavoratore assicurato si fosse risposato, una quota della reversibilità spetterà comunque all’ex coniuge, oltre che al coniuge superstite.

Molte sono dunque le differenze tra questi due istituti presenti solo nell'ordinamento italiano. In caso di separazione e divorzio è sempre consigliabile farsi assistere da un legale di fiducia, in quanto molti sono i diritti da far valere e i doveri da assolvere.




GRATUITO PATROCINIO

L’art. 24 Cost. prevede per ogni cittadino il diritto alla difesa quale diritto inviolabile, a garanzia del quale sussiste il riconoscimento dell’assistenza legale gratuita in favore delle persone che non hanno i mezzi necessari per sostenere le spese per promuovere un giudizio o per difendersi dinanzi al giudice.

Per dare concreta attuazione all’art. 24 Cost., è stato dunque introdotto l’istituto del c.d. gratuito patrocinio, disciplinato dal d.P.R. 30.5.2002 n.115 (art.74-141), istituto che garantisce ai non abbienti, i quali non siano in grado di sostenere i costi della propria difesa, il diritto di farsi assistere da un avvocato, il cui onorario è a carico dello Stato.

Pertanto il gratuito patrocinio a Spese dello Stato è l'istituto che disciplina la possibilità per ogni cittadino, che ne abbia i requisiti di reddito al momento della presentazione della domanda, di avvalersi dell’assistenza legale da parte di un avvocato in modo completamente gratuito.
Hanno diritto al gratuito patrocinio sia i cittadini italiani che stranieri, il cui nucleo familiare sia titolare di un reddito imponibile non superiore ad un determinato importo, aggiornato ogni due anni (allo stato, il reddito è di € 11.528,41 lordi), e per reati particolari prescindendosi dal reddito.

Si può fare ricorso al gratuito patrocinio per farsi assistere in sede civile, penale,tributaria, amministrativa, procedure di volontaria giurisdizione, “scegliendo” l’avvocato in appositi elenchi. Non sono previste formalità particolari in quanto la domanda, in carta semplice, può essere presentata (al Consiglio dell’Ordine degli avvocati) personalmente ovvero dal difensore che autenticherà la firma, in ogni stato e grado del processo.

Si può fare ricorso al gratuito patrocinio per farsi assistere in sede civile, penale,tributaria, amministrativa, procedure di volontaria giurisdizione, “scegliendo” l’avvocato in appositi elenchi. Non sono previste formalità particolari in quanto la domanda, in carta semplice, può essere presentata (al Consiglio dell’Ordine degli avvocati) personalmente ovvero dal difensore che autenticherà la firma, in ogni stato e grado del processo.


DIFESA D'UFFICIO

A differenza di quanto avviene per il gratuito patrocinio, la difesa d’ufficio è sempre garantita a ciascun soggetto indipendentemente dal reddito.

La difesa d’ufficio viene riconosciuta sempre nei procedimenti penali mentre per quelli civili è riconosciuta solo nei procedimenti davanti al tribunale dei minorenni.

Anche l’avvocato d’ufficio è quindi nominato dal giudice o dal pubblico ministero sulla base di un elenco di difensori predisposto dal consiglio dell’ordine forense, d’intesa con il presidente del tribunale, ha l’obbligo di prestare il suo patrocinio e può essere sostituito solo per giustificato motivo, ma le spese sono a carico dell’imputato salvo che sussistano i requisiti di cui sopra per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Il difensore d' ufficio cessa di essere tale nell' istante in cui l'imputato nomina un suo difensore di fiducia. Questa nomina può avvenire in ogni grado e stato del processo.
Si ricorda quindi che l'avvocato di ufficio si paga nella stessa maniera rispetto ad un avvocato di fiducia anche se molti confondono i due istituti e pensano che l' avvocato di ufficio sia gratuito.

In conclusione:
Dal confronto due figure si può quindi dire che il difensore d’ufficio ha la funzione di garantire il diritto tecnico di difesa a chi non ha ancora nominato un difensore di fiducia (o ne è rimasto privo), mentre l’avvocato con il gratuito patrocinio è il difensore di un soggetto che ha presentato domanda di gratuito patrocinio ed è stato ammesso a tale beneficio:
quest’ultimo può quindi essere sia un avvocato di fiducia, scelto dall’ imputato, sia il difensore d’ufficio nominato dallo Stato dopo che ha ottenuto l' ammissione al beneficio.
Nello specifico, si deve perciò ricordare che in ogni processo penale si sarà sempre assistiti da un avvocato che, in mancanza della nomina di fiducia da parte dell’imputato, verrà nominato dal Giudice o dal Pubblico Ministero.
A questo punto, se non si ottiene l’ammissione al gratuito patrocinio, il costo del legale resterà a carico dell’imputato che si vedrà presentare la parcella per l’attività difensiva svolta.
Pertanto, sarà sempre opportuno verificare se vi sono i presupposti per l’ammissione al Patrocinio a spese dello Stato o concordare il compenso con un avvocato da nominarsi di fiducia (che potrebbe essere anche lo stesso nominato inizialmente d’ufficio e con cui si è convenuto un incarico fiduciario).